Sport e sistema immunitario

Come lo sport può aiutare il tuo sistema immunitario

Molte ricerche hanno stabilito con sicurezza che l’esercizio fisico è la causa di modificazioni dell’immunità organica, ossia modifiche delle naturali difese che l’organismo ha a disposizione per fronteggiare attacchi che provengono dall’esterno.

L’attività fisica è quindi, un fattore di stimolo per il sistema immunitario i cui cambiamenti e segnali cellulari saranno intercettati dal sistema nervoso che si attiverà per compensare gli squilibri a livello cellulare.

L’esercizio fisico può avere effetti sia positivi che negativi sulle funzioni immunitarie aumentando la suscettibilità alle malattie minori. La relazione tra esercizio fisico e la suscettibilità alle infezioni è stata modellata sotto forma grafica come una curva a “J”.

Questo modello suggerisce che, mentre nelle attività fisiche moderate il sistema immunitario aumenta le proprie potenzialità rispetto all’inattività, nell’attività fisica intensa la sua azione diminuisce. Sebbene questa sia solo una piccola prova per determinare una differenza clinica sulle funzioni del sistema immunitario tra persone sedentarie e moderatamente attive, ci sono state prove epidemiologiche che hanno convinto che ci sia un’associazione tra attività fisica moderata e il decremento di infezioni.

D’altro canto, recenti studi, hanno mostrato come atleti che compiono attività competitive di resistenza come maratone ed ultra-maratone, incrementino i rischi di acquisire infezioni nelle settimane successive alla competizione.

Molti studi, infatti, hanno confermato che le funzioni delle cellule immunitarie sono temporaneamente soppresse a seguito di una sessione di esercizio acuto prolungato di alta intensità, e che gli atleti che si adoperano in periodi intensivi di attività prolungate ed intense, sono più suscettibili alle minori infezioni (mal di gola, raffreddore, etc.).

Si assiste quindi ad un calo generalizzato dell’attività del sistema immunitario nella fase post esercizio, che viene definito come “open window“, ed è rilevabile inoltre in diverse condizioni di stress fisico.

Durante la fase di “open window” il soggetto viene a trovarsi in una situazione di particolare rischio di infezioni. Per un atleta è facile immaginare come questa condizione corrisponda ad un momento in cui la possibilità di contatto con patogeni è particolarmente elevata: la permanenza negli spogliatoi insieme ad altre persone, il vapore acqueo delle docce, l’aria condizionata degli ambienti o dei mezzi di trasporto, rappresentano un veicolo ottimale attraverso il quale possono essere contratti agenti potenzialmente infettivi.

La fase di “open window”, ha una durata molto variabile, di solito si attesta su tempi oscillanti tra le 3 e le 72 ore, in funzione del livello immunitario del soggetto e si concretizza in un elevato rischio di infezioni in corso di allenamento intensivo.

Naturalmente gli eventi infettivi cui un atleta è sottoposto quando il suo allenamento è prolungato ad alta intensità, deve essere controllato da un adeguato recupero fisico, che gli permetterà di ripristinare i livelli plasmatici delle cellule del sistema immunitario in quanto il passaggio dei neutrofili e dei monociti dal sangue ai tessuti determina, dopo circa 48 ore dall’intensa attività fisica che ha determinato l’incremento e la stimolazione dei leucociti, un abbassamento del loro numero nel sangue circolante.

In effetti, si può considerare che il muscolo scheletrico sottoposto ad intensa attività abbia le stesse caratteristiche di un tessuto con infiammazione, richiamando perciò i leucociti come cellule di difesa. Il fenomeno comincia dopo circa 30 minuti di esercizio e si mantiene abbastanza a lungo, con il ritorno alla situazione di base dopo tre-quattro giorni.

Importanti nel determinare l’incremento dei leucociti sono gli ormoni steroidei, come il cortisolo, che manifesta potente effetto antinfiammatorio.

Solamente per stimolazioni particolarmente prolungate o per danni veri e propri a carico dei tessuti, avviene un aumento dovuto alla liberazione di nuove cellule dal midollo osseo.

Infatti la circolazione del numero e delle capacità funzionali dei leucociti, potrebbero decrementare in relazione a sessioni di esercizio fisico intense e prolungate.

Le cellule del sistema immunitario sono rappresentate dai leucociti che aumentano con l’esercizio fisico. Uno dei fattori meccanici di tale incremento è il distacco delle cellule leucocitarie dal tessuto epiteliale vasale, a causa dell’aumentata circolazione sanguigna dovuta all’aumento della gittata sistolica e della pressione arteriosa.

La risposta delle sottopopolazioni di leucociti nel sangue a seguito di un episodio di esercizio acuto sono molto stereotipate.

La concentrazione di Neutrofili incrementa durante e dopo l’esercizio fisico, mentre la concentrazione dei linfociti aumenta durante l’esercizio e scende sotto i valori di soglia pre-esercizio dopo un lungo ed intenso esercizio.

Tutto questo ci suggerisce che l’esercizio fisico potrebbe essere considerato una delle tante perturbazioni dell’omeostasi organica, cui l’organismo risponde sinergicamente attivando vari meccanismi.

L’immunità, come abbiamo detto, è affidata al pronto e massiccio intervento di cellule e proteine.

Le cellule immunitarie e le proteine prodotte e rilasciate da tali cellule sono normalmente presenti nel sangue e svolgono un’attività continua di controllo nei confronti delle aggressioni esterne (batteri, virus…); quando si manifesta la necessità, avviene un aumento del numero delle cellule immunitarie e della concentrazione delle proteine antinfiammatorie.

Durante l’attività fisica anche le funzioni leucocitarie sono modificate: la fagocitosi è incrementata in termini assoluti, ma occorre rilevare che l’attività di fagocitosi per singola cellula è lievemente diminuita rispetto al normale.

I neutrofili, per esempio, agiscono emettendo sostanze nocive ai loro “nemici”, come i radicali liberi (ROS) e alcune interleuchine, che intervengono, a loro volta, nel reclutare altre cellule di difesa.

L’intensa attività fisica tende a diminuire la funzione dei linfociti T, fenomeno che è stato spesso indicato come il responsabile di una tipica condizione del sovrallenamento, in altre parole la maggior suscettibilità alle infezioni.

Una particolare sottoclasse di linfociti ad azione tossica diretta verso altre cellule è la classe dei “natural killers”, che agiscono costantemente nell’organismo per eliminare le cellule tumorali.

Le cellule NK sono suscettibili non tanto alla durata dell’esercizio, ma all’intensità. Le cellule NK saranno incrementate sia subito dopo sia durante un esercizio e moderato e intenso, ma la loro attività e quantità è marcatamente bassa solo dopo un intenso esercizio di almeno un’ora.

L’intensa attività fisica prolungata, determina anche un abbassamento dell’immunoglobulina IgA salivare, che sebbene costituisca solo il 10-15% del totale delle immunoglobuline, predomina nella secrezione mucosale correlata alla difesa delle infezioni del tratto respiratorio. Il decremento di tale immunoglobulina fu riscontrata in nuotatori agonisti, dopo una corsa intensa, e dopo un intenso esercizio sul tredmill oltre il limite di sopportazione della fatica. Esercizi sottomassimali non hanno nessun effetto sull’IgA salivare.

Molti studi sono stati effettuati sulle modalità di prevenzione dell’immunodepressione negli atleti che si sottopongono ad intensi e prolungati esercizi fisici. Per esempio la somministrazione di antiossidanti come la Vitamina C e la Vitamina E hanno visto diminuire l’incidenza di infezioni del tratto respiratorio nei maratoneti. L’assunzione dei carboidrati durante un’attività prolungata ha evidenziato un’attenuazione del traffico leucocitario dal plasma ai tessuti.

Queste sostanze, agendo sulla riduzione della produzione di proteine mediatrici dell’immunità, le quali agiscono anche sulla modulazione del metabolismo, potrebbero causare limiti di adattamento fisico all’esercizio. In altre parole, sebbene la somministrazione di queste sostanze possa diminuire la produzione ed il rilascio di citochine infiammatorie ed ormoni come il cortisolo, non ha effetti sui cambiamenti degli altri componenti del sistema immunitario come cellule NK, linfociti T e IgA salivare, oltre a non permette un adattamento fisico all’allenamento.

La diversità dei risultati mostra che, l’aumento o la diminuzione delle funzioni del sistema immunitario dipende dall’intensità dell’esercizio e la durata del recupero tra una sessione e l’altra.

Il seguente grafico mostra come praticando un moderato allenamento sportivo (consumo compreso tra 2000 e 2500 (kcal/settimana), il Sistema Immunitario si rafforzi ed il sistema di regolazione antinfiammatoria si equilibri con miglioramento anche dell’umore; inoltre si osserva riduzione dei processi pro-infiammatori, così come si riducono drasticamente gli stati depressivi e la predisposizione alle malattie (es. infezioni).

In conclusione, l’intensa attività sportiva presenta alcune similitudini, dal punto di vista immunitario, con una situazione d’infiammazione.

Il sistema immunitario reagisce alle aumentate necessità dell’organismo e si trova sempre adeguatamente pronto ad intervenire.

L’attività fisica rappresenta quindi uno stimolo verso il sistema immunitario, che vigila con maggior intensità sulle aggressioni interne (cellule devianti) ed esterne (infezioni) cui costantemente l’organismo è sottoposto, ma che tuttavia, l’eccessiva stimolazione conduce ad un effetto indesiderato di momentanea riduzione delle difese immunitarie.

Dato che l’esercizio fisico, secondo la frequenza, intensità e durata, può determinare un notevole effetto sulla distribuzione dei leucociti e delle concentrazioni delle proteine plasmatiche, è sempre opportuno che l’atleta e lo sportivo siano adeguatamente controllati per quanto riguarda il loro personale assetto immunitario, mediante semplici esami di laboratorio.

A volte dopo un infortunio, la necessità di onorare impegni agonistici pressanti e contratti stipulati da esigenti sponsor, induce l’atleta con il suo staff a tentare la strada di una rapida riabilitazione e di un rientro in attività in condizioni non ottimali.

In queste condizioni gli eventi traumatici possono essere sottovalutati e l’atleta riprende l’attività sportiva mentre parte dei suoi leucociti sono ancora deviati verso la sede della lesione, quindi indisponibili per una efficace difesa immunitaria.

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